Sembra ormai chiaro che è attraverso i contenuti che si gioca la guerra dell’attenzione, ossia la capacità di raggiungere e interessare i clienti affiancando agli investimenti pubblicitari delle attività editoriali multicanale. Perché, prima arrivare al portafogli delle persone, occorre conquistane l’interesse e la considerazione all’interno del loro budget di tempo sempre più polverizzato nell’ambito del limite fisiologico delle 24 ore.

I fattori di cambiamento in atto nel panorama editoriale mondiale, nelle cui pieghe insistono le opportunità ma anche i grattacapi per le aziende, sono molteplici e profondi. Ne sintetizziamo alcuni:

  • È esploso il numero di autori (in senso lato) e, di conseguenza, la quantità di contenuti prodotti; è aumentato il numero di canali e device; sono moltiplicati i tipi di formato. Situazione che genera la cosiddetta “guerra dell’attenzione” nella quale le persone dedicano sempre meno tempo ad un numero crescente di frazioni di contenuto
  • I media tradizionali, nella complicata ricerca di nuovi modelli di business, stanno lasciando sul terreno ampie fasce di audience, specie riguardo a prodotti editoriali pensati per la fruizione da mobile. A tale proposito segnalo due ottimi articoli di Luca De Biase e Kevin Anderson.
  • I consumatori devono essere intercettati in tutte le fasi del customer journey rispondendo ad esigenze ed interessi diversi (informazione, servizio, intrattenimento, ecc.). Questo significa alimentare molteplici canali (digitali e non) in maniera continuativa
  • È diminuita l’efficienza dell’advertising e delle PR tradizionali; da qui l’esigenza di provare a disintermediare i media tradizionali
  • Nel contempo va tenuto conto che le aziende non hanno (ancora) competenze nella produzione editoriale che non sia di taglio promozionale, così come la maggior parte delle agenzie di comunicazione.

Il problema è che molte aziende continuano ad intendere per contenuto solo ciò che parla di loro e dei loro prodotti, utilizzando peraltro una forma autocelebrativa ed esclusivamente pubblicitaria, mantenendo quindi una “strategia media” abbastanza tradizionale.

Occorrerebbe considerare i contenuti un asset aziendale, così come lo sono i brevetti, la reputazione, i vantaggi competitivi, ecc. Anche perché “i media cambiano, i contenuti restano”. Ma questa evoluzione avviene solo se si parte dal principio che deve essere tutta l’azienda a contribuire, direttamente o indirettamente.

Tutti sostengono di mettere al centro dell’attenzione il cliente, ma di fatto la comunicazione segue solo le logiche delle campagne top-down e non dell’ascolto e della relazione; il risultato è il solito format: flight televisivo, rafforzamento con radio e affissioni, stream di news pubblicitarie sui social media. Una delle parole di moda da qualche tempo è storytelling. Pochi però sono gli esempi di narrazioni pensate in base agli interessi dei destinatari (ne scrivevo qualche settimana fa), mentre prevalgono i racconti che esaltano storie aziendali anacronistiche e vetuste oppure pseudo storie-verità di dipendenti interpretati palesemente da attori poco credibili.

Il invece è una strategia che necessita di ragionare come un publisher o un editore, analizzando con cura i reali bisogni contenutistici dei destinatari che si desidera raggiungere, programmando di conseguenza un’attività strutturata e continuativa. Poi ciascuna azienda dovrà trovare un suo modello e un format coerente con il suo posizionamento ed i suoi interessi di business e scegliere ad esempio, se produrre contenuti per educare, per intrattenere, per informare, per aiutare, o per coprire tutti questi ruoli. In unprecedente articolo avevo accennato ad un modello operativo per la progettazione di un piano editoriale.

Gli esempi virtuosi e innovativi non mancano. Coca Cola, Nike, Red Bull sono ormai equiparabili a editori nelle loro attività di comunicazione. E se oggi ne evidenziamo le iniziative online, per via della convergenza dei media, li vedremo a breve produrre qualcosa che oggi chiamiamo ancora TV e radio, ma che tra qualche anno saranno elementi di un unico enorme flusso di contenuti fruibili con i device più disparati. Un esempio tra tutti: la divisione “media” creata da Starbucks nel 2015 alla cui guida è stato chiamato Rajiv Chandrasekaran un giornalista di spicco del Washington Post.

Riassumendo, le principali opportunità riguardo il content marketing per le aziende sono:

  • Generare attenzione e lead, tipicamente in maniera molto più conveniente nel medio-lungo termine rispetto alle attività di comunicazione pubblicitarie
  • Valorizzare le esperienze e le competenze presenti in azienda, raramente dimostrabili in modo credibile con la retorica promozionale
  • Dimostrare leadership e credibilità nel proprio ambito di mercato
  • Svolgere un’attività di education che oltre al supporto meritorio ai destinatati, può stimolare i bisogni e indirizzare le preferenze e le scelte d’acquisto
  • Incrociare le differenti necessità dei clienti, creando un ecosistema editoriale in cui ciascuno possa trovare gli approfondimenti a cui è interessato
  • Facilitare il customer service, creando basi informative che anticipano o supportano le difficoltà o i dubbi dei clienti
  • Aumentare gli accessi ai siti web attraverso i motori di ricerca i quali notoriamente premiamo nel ranking i contenuti editoriali, specie se prodotti in modo continuativo

E anche per il 2016 il content marketing sarà una delle priorità riguardo le strategie di business delle aziende. Lo si evince da svariate analisi tra cui quella effettuata da SmartInsights a fine 2015.

Immagine Lupi

Da notare l’ascesa della Marketing Automation come attività al primo posto tra quelle di digital marketing e proprio a questo argomento dedicherò uno dei prossimi articoli.

 

Fonte: Technomy – Segnalato da Antonio Rainò