La Commissione europea nelle sue valutazioni autunnali ha dato un buon giudizio sull’Italia certificando che nel 2015 si è invertito il trend negativo che durava dal 2008. Ne siamo lieti ma capiamo anche le cautele di vari osservatori che sono diventati scettici dopo troppi governi italiani con promesse disattese. Dobbiamo adesso però incominciare a ridurre lo scetticismo evitando anche di peggiorare la nostra immagine negli anni passati penalizzata al di là delle nostre effettive debolezze.

È difficile infatti dimenticare che i giudizi esterni (alimentati anche dall’interno) non vedevano la forza della nostra manifattura che nella competizione internazionale riusciva ad inanellare surplus commerciali da record per la sua capacità innovativa alla quale si aprono oggi nuove prospettive con i progetti del dopo Expo. Né si riconoscevano altri nostri punti di forza mentre giustamente si criticavano l’eccesso e la composizione della spesa pubblica corrente, la pletorica macchina legislativa e amministrativa, l’eccesso di fiscalità e di evasione. Siamo fiduciosi che questi (ed altri) limiti vengano rimossi.

Dal pessimismo alla fiducia

Sin d’ora è incoraggiante che i giudizi ufficiali siano molto migliorati. Il cambiamento si vede, appunto, dall’evoluzione nelle valutazioni della Commissione europea anche se relegati nella cronaca. Nell’autunno del 2014 la Commissione scriveva che nel 2015 l’economia italiana avrebbe avuto una ripresa fragile dovuta solo alla domanda estera. Nella primavera del 2015 il tono diventava meno pessimista prospettando una graduale ripresa dovuta a fattori esterni. Nell’autunno del 2015 si afferma che la ripresa ciclica della nostra economia iniziata nel 2015 si rafforzerà nel 2016. Anche l’Ocse esprime una buona valutazione sull’Italia rivedendo al rialzo le stime di crescita e segnalando che si è innestato un circolo virtuoso che dal mercato del lavoro porta fiducia e consumi.

Il punto centrale del cambiamento è che mentre prima si considerava l’Italia sorretta solo dalle esportazioni adesso c’è il contributo crescente della domanda interna con il ritorno dell’occupazione e della fiducia alimentate anche dalle riforme e non solo dalla politica monetaria e dalla cessate tensioni sui titoli di Stato. Riassumiamo il giudizio della Commissione sull’“economia reale” prescindendo per una volta dalla esplicita considerazione della finanza pubblica nella ovvia convinzione che se la crescita del Pil andasse verso il 2% accelererebbe l’aggiustamento di deficit (dove continuiamo ad essere tra i più virtuosi) e di debito pubblico.

Per la dinamica del Pil si prefigura un’accelerazione nella seconda parte dell’anno malgrado il rallentamento del commercio mondiale. I numeri forniti dalla Commissione sono eloquenti.

Il tasso di variazione medio annuo del Pil sul periodo 2007-11 è stato del -0,6%, peggiorando poi ad un -1,6% nel triennio 2012-14 mentre adesso si prevede una ripresa vicina all’1,3% sul 2015-17. Il tasso di variazione annuale del nostro Pil rispetto a quello della Germania è passato da un divario in meno per l’Italia di 3,2 punti percentuali (per noi –2,8% e per la Germania +0,4%)nel 2012, ad uno di 0,8 punti nel 2015 e di circa 0,4 punti nel 2016 e 2017 (per noi 1,5% e per la Germania 1,9%). È chiaro dunque che il “passo” della Germania e dell’Italia sta convergendo, con una buona ripresa dell’Italia. Questo vale ancor più nei confronti della Francia.

L’economia reale

In un’accezione ampliata include imprese e banche (che da noi sono fuori da rischi speculativi), investimenti e capitale, lavoro e famiglie. La Commissione rileva che la domanda interna è in ripresa per la crescita degli occupati, la riduzione delle tasse, la bassa inflazione, il miglioramento del credito alle famiglie. A loro volta per le imprese migliora la situazione creditizia anche al di fuori del manifatturiero con quelle più forti che attuano consistenti autofinanziamenti.

Gli investimenti in nuovi macchinari stanno riprendendo (e secondo noi accelereranno per i superammortamenti) sia per la dinamica della domanda sia perché la capacità inutilizzata si riduce e migliorano i margini di profitto. Persino il settore delle costruzioni viene considerato in graduale ripresa. Sul settore bancario si segnala che malgrado le partite deteriorate pesino sui bilanci (al proposito che fine ha fatto l’ipotesi governativa di bad bank più o meno ibrida?) le condizioni creditizie si vanno normalizzando con più erogazioni alle imprese. Infine, ma certo non ultimo, per il lavoro e l’occupazione (il cui andamento positivo risulta anche dai recenti dati Inps) si riconosce l’effetto delle esenzioni contributive per le assunzioni a tempo indeterminato e il loro prolungamento negli anni a venire sia pure in misura ridotta e una contenuta pressione del costo del lavoro per la riduzione del cuneo e per aumenti di produttività precisando infine che la lenta riduzione del tassi di disoccupazione è dovuta anche al ritorno sul mercato del lavoro di persone uscite prima per scoraggiamento

Investimenti in innovazione

Una forte economia reale ha però bisogno anche di investimenti in innovazione e questo a sua volta richiede finanziamenti costanti in ricerca e sviluppo.

Le valutazioni dell’European innovation scoreboard collocano l’Italia tra i Paesi moderatamente innovatori con un indice sintetico di performance pari all’80% rispetto alla media europea. I maggiori punti di debolezza riguardano gli investimenti in venture capital e nella capacità di brevettazione mentre notevoli risultati si rilevano per l’innovazione (di prodotto e di processo, di marketing e organizzative ) delle Pmi. Anche qui l’Italia ha bisogno di risalire la china. Dunque incoraggiante è la notizia sul bonus fiscale per marchi e brevetti e soprattutto quella data dal presidente Renzi di voler fare dell’area Expo la sede del progetto “Human Technopole Italy 2040” che dovrà necessariamente essere affiancato, con modalità da progettare, da tante altre eccellenze scientifiche, tecnologiche ed imprenditoriali, già attive su Milano e in Lombardia.
di Alberto Quadrio Curzio, 12 Novembre 2015 – Fonte: Il Sole 24 Ore