Le start-up hanno un “disperato” bisogno di colmare rapidamente lo svantaggio competitivo con le altre aziende, tuttavia l’esigenza di contenere i costi porta spesso ad approcci inadeguati o inefficienti – anche in ambito marketing – che possono impedire una crescita vera, sana e sostanziale, sviluppando l’idea innovativa e conquistando velocemente quote di mercato.

Il Growth Hacking (GH) rappresenta un approccio al marketing specifico per aziende appena nate o che vogliono riposizionarsi in fretta: ideata da Sean Ellis nell’articolo “Find a Growth Hacker for Your Startup” apparso nel 2010, la strategia prevede che:

«Affinché si realizzi una crescita significativa, le start-up devono cambiare completamente le regole dei canali tradizionali di crescita e innovare al di fuori di questi. Gli startapper sono troppo disperati e svantaggiati per adattarsi alle vecchie regole del marketing».

Growth Hacking

Per ottenere i migliori “hack di crescita” Ellis suggerisce di sfruttare le opportunità uniche disponibili in un mondo connesso. Ma attenzione: il Growth Hacking deve essere “trasversale e funzionale ai reparti aziendali”. Infatti, se l’azienda vuole far crescere gliutenti per un determinato prodotto, l’obiettivo non deve essere relegato alla sola funzione del marketing. Quel che conta è il modo durevole di attrarli, accrescendo costantemente la rete.

Obiettivi

L’obiettivo del Growth Hacker è aumentare il traffico e le connessioni, per trasformare quanti più visitatori possibili in utenti paganti. Esistono diverse tecniche che si possono applicare ma il centro nevralgico si può sintetizzare in queste citazioni, riassunte da Ryan Holiday, talentuoso direttore Marketing di American Apparel:

  • Produrre qualcosa che la gente voglia” (Paul Graham): produrre cose così utili o necessarie da farne parlare e diffonderne l’uso. A volte non è il prodotto in sè a non valere abbastanza ma l’uso suggerito a non essere adeguato o popolare. Sistemare questa distorsione potrebbe essere la chiave di volta. Instagram, ad esempio, era nato come social network di servizi di localizzazione (con il nome “Barbn”) e aveva unafeature opzionale sulle foto che invece era usatissima. Reingegnerizzando il servizio in funzione della popolarità delle funzioni fotografiche è letteralmente esploso, dopo pochi mesi rivenduto a una cifra da capogiro.
  • GH è una mentalità non è un toolkit” (Aaron Ginn): gli strumenti specifici sono meno importanti del pensiero generale e dell’approccio sotteso. I tratti generali di questa mentalità passano per il pensiero data-driven, la scalabilità, la creatività e una certa predisposizione ad “ignorare” le regole. Ognuno può implementare il Grouth Hacking in modo personale, ma sostanzialmente si tratta di “fare molto di più con molto meno”.
  • Meglio la disciplina della conoscenza che l’anarchia dell’ignoranza. Dobbiamo perseguire la conoscenza nello stesso modo in cui un maiale persegue i tartufi” (David Ogilvy): l’esempio del “referral program” di Dropbox,  che prometteva spazio aggiuntivo di 500Mb per ogni nuovo amico invitato, ne è la prova. Dropbox è cresciuto del 60% per mesi e oggi il 35% degli utenti si registra grazie al passaparola.

Modelli

Nella pratica esistono diversi modelli, di difficoltà variabile. Ecco alcune tecniche di marketing spesso utilizzate nel GH e divulgate da Stefano Des, Internet Marketer:

  1. Webinar: offrendo un urgente incentivo (partecipa prima che si finiscano i posti), suscita interesse e durante la lezione ed offre all’utente nuove nozioni ma anche cosa offre l’azienda organizzatrice, che così ottiene visibilità.
  2. Giveaway: gestire un flusso continuo di gadget o servizi targhetizzati per fascia di clienti garantisce visite e ritorni periodici.
  3. Guest Post: far ospitare post scritti dall’impresa su blog popolari e pertinenti porta sul sito aziendale visitatori altamente targhetizzati, generando una audience potenzialmente elevata. Per rendere il post più efficace si possono far collezionare bonus per i lettori che partecipano alla mailing list aziendale (es.: informazioni extra, casi di studio e video esclusivi) per convertire lead.
  4. Doppio incentivo: utilizzando un duplice programma di referral (passaparola) l’effetto è moltiplicato di un fattore due. L’esempio Uber: ha garantito ai propri clienti e a quelli presentati con i codici di referral, un credito iniziale per provare il servizio senza costi (il vecchio cliente ottiene un amichevole “grazie” per la condivisione).
  5. Pop-up in uscita: quando un visitatore apre la pagina di un sito, il sistema inizia a tenere sotto controllo i movimenti del mouse e, nel momento in cui sta per chiudere la pagina, un pop-over lo invita a iscriversi per ottenere un incentivo (es.: ebook, video corso…).
  6. Re-targeting: chi fa provare gratuitamente i propri prodotti non ha sempre la garanzia che gli utenti tornino per comprare. Indirizzare le proprie pubblicità a tutti mediante re-targeting consente conversione da tester a buyer sfruttando cookie o indirizzi IP dei visitatori tester. Ad esempio, si può usare Adroll con apposito plugin (fonte: Stefano Des, n.d.r.).